Formazione al lavoro: cosa succede su un lavoratore rifiuta di essere coinvolto in percorsi di upskilling e reskilling? A rispondere a questo interrogativo ci ha pensato la Corte di Cassazione, con una precisa sentenza. La sentenza è arrivata dopo un processo che ha visto protagonisti un lavoratore che aveva rifiutato di formarsi e l’azienda che lo aveva licenziato. 

Rifiuto della formazione al lavoro: la sentenza

La Corte di Cassazione ha ritenuto che il rifiuto della formazione al lavoro da parte di un dipendente di un’azienda si traduca in un comportamento di “insubordinazione grave” per il quale il licenziamento è giustificato.

Nel caso specifico, come si legge nella sentenza, la formazione che coinvolgeva il lavoratore era gratuita, negli orari di lavoro e, soprattutto, mirata all’upskilling delle competenze dello stesso per supportare i clienti dell’azienda.

Tutti motivi per i quali l’azienda aveva ritenuto di licenziare il dipendente e che la Corte di Cassazione ha confermato in pieno.

I vantaggi dell’upskilling aziendale

Al netto del caso di cronaca, la sentenza della Corte di Cassazione porta ad una riflessione necessaria sulla centralità della formazione al lavoro per i dipendenti delle aziende di ogni settore e dimensione.

Obblighi di legge a parte, la sentenza sottolinea in pieno i vantaggi di percorsi di upskilling e reskilling mirati a:

  • crescita aziendale
  • innovazione di processi e di prodotti.

Solo con competenze adeguate da parte di tutti i lavoratori delle aziende, infatti, si possono programmare step di crescita e innovazione più puntuali e precisi. Ma come fare?

Formazione al lavoro: servono progetti giusti

Per ottenere i vantaggi descritti nel paragrafo precedente, le aziende devono necessariamente progettare un piano di formazione al lavoro, basato sui seguenti elementi:

  • analisi preliminare del livello di partenza delle competenze
  • descrizione degli obiettivi finali da raggiungere
  • contenuti settati sugli obiettivi
  • formazione smart e interattiva
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