Non a scuola, non in formazione e, tantomeno, non a lavoro. È questa la definizione che associa i giovani italiani, tra i 15 e i 34 anni che appartengono alla generazione Neet. Si tratta di un vero e proprio “esercito” di ragazzi e ragazze che non studia e non lavora. Perché? Quasi sempre è un problema di competenze che mancano, o che, invece, sono insufficienti.

I numeri della generazione Neet

Non è un caso se si parla di generazione Neet in Italia: gli ultimi dati Istat aggiornati al 2020, anno della pandemia da Covid, i Neet di età compresa tra 15 e 34 anni sono 3 milioni e 85mila.

Nel 2019, e cioè solamente un anno fa, i Neet erano 2.940.000. È ovvio che la situazione pandemica abbia contribuito a generare un problema da un punto di vista occupazionale, se non fosse altro che nel 2020 tanti giovani hanno terminato i propri studi, sia universitari che superiori, senza avere opportunità di lavoro.

Non è un caso, infatti, se il maggior numero di Neet si concentri nelle seguenti fasce d’età:

  • tra i 18 e i 29 anni (sono 2 milioni circa)
  • mentre tra i 15 e i 24 anni sono poco più di 1 milione e 100mila

Resta una considerazione da fare: accertato che la generazione Neet non studia e non lavora, bisogna capire perché succede questo. Al centro c’è un gap di formazione.

La formazione? È il primo passo per salutare la generazione Neet

Le competenze sono e restano l’elemento fondamentale per accompagnare la generazione Neet a non esserlo più. E quindi ad entrare, progressivamente, nel mondo del lavoro.

Qui entra in gioco il lavoro quotidiano degli enti di formazione, che hanno il compito di:

  • intercettare i giovani della generazione Neet
  • conoscere le loro aspirazioni, i loro obiettivi
  • calibrare le aspirazioni con le loro competenze
  • e, quindi, avviare un percorso di formazione adeguato a far maturare proprio le competenze necessarie a rendere occupabili i ragazzi.

Ecco perché le Nazioni Unite nel 2014 hanno istituito la giornata di oggi, ossia la giornata mondiale delle Competenze dei giovani. L’obiettivo? Sensibilizzare le istituzioni e i sistemi economici a capire la centralità della costruzione delle competenze come arma contro la disoccupazione giovanile.

I due livelli di competenze da potenziare

Esistono due livelli di competenze che anche i giovani della generazione Neet sono chiamati a colmare:

  • le competenze di base – o soft skills
  • e quelle avanzate, legate al proprio percorso lavorativo.

Le competenze di base sono state individuate e descritte dall’unione europea e riguardano i seguenti ambiti:

  • alfabetica
  • multilinguistica
  • matematica
  • digitale
  • sociale
  • civica
  • imprenditoriale
  • culturale

E le imprese cosa cercano nei giovani?

Al netto della preparazione e dello studio, molte ricerche condotte all’interno delle aziende confermano come il candidato ideale per un nuova assunzione debba avere anche altre specifiche soft skills che servono proprio per l’inserimento nel contesto aziendale.

Quali sono queste competenze che la generazione Neet deve imparare? Si parte da quella più inflazionata, ossia la capacità di problem solving. Tradotto in termini semplici: c’è un problema, trovo una soluzione.

La seconda soft skill più richiesta dalle aziende è la capacità di gestire il tempo, soprattutto quando si sono scadenze, e anche eventuali conflitti interni al gruppo lavoro.

E, poi, ancora:

  • creatività e capacità analitica;
  • flessibilità e predisposizione al lavoro di gruppo;
  • abilità comunicative e leadership

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